Tulbaghia violacea Harv.

famiglia: Alliaceae
nomi comuni: tulbaghia, aglio selvatico

ETIMOLOGIA: il nome generico è stato dato a questa specie in onore del naturalista olandese Rijk Tulbagh (1699-1771), governatore della provincia del Capo di Buona Speranza, in Sudafrica. L'attributo specifico allude al colore dei fiori



la tulbaghia è una specie rizomatosa a rapido sviluppo, alta fino a 50 centimetri, originaria dell'Africa meridionale, ideale per le bordure erbacee e nel giardino roccioso, molto facile da coltivare. Può anche essere piantata in modo massivo (6 piante per mq) ed essere impiegata come tappezzante in aree soleggiate ed asciutte. Pur preferendo terreni ricchi di humus, si adatta a tutti i tipi di terreno ben drenati. La notevole resistenza alla siccità permette la coltivazione senza problemi sia in giardino che in vasi di diversa forma insieme con altre piante che non temono il pieno sole e condizioni temporaneamente siccitose. La pianta riesce bene anche a mezzombra, idealmente con qualche ora di sole nel pomeriggio. E' di facile moltiplicazione poichè si può dividere il cespo in tante piccole parti o in parti più grosse e corpose per ottenere nuove piantine. Non è intaccata da malattie e regge ai geli fino a -10°C. Tutta la pianta è commestibile e sia le foglie che i fiori possono essere utilizzati per aromatizzare insalate od altre preparazioni, conferendo un forte aroma di aglio


le foglie sono lunghe e lineariformi, di colore verde intenso, gialle in autunno, fortemente aromatiche, che emanano un forte odore di aglio se strofinate. Si originano direttamente dalla massa rizomatosa ed ingrossata delle radici



i fiori, di color rosa malva, tubulosi e con corona a stella, sono  riuniti fino ad un numero di 20 in ombrelle che si ergono al di sopra della massa fogliare mediante un robusto stelo alto circa 50 centimetri. La fioritura è continua dall'estate all'autunno inoltrato. Come le altre parti della pianta anche i fiori hanno un forte aroma d'aglio se strofinati e sono molto attrattivi sia per le farfalle che per altri insetti impollinatori


Rhododendron ponticum L. 1753

famiglia: Ericaceae
nome comune: rododendro

ETIMOLOGIA: il nome generico è dato dall'unione dei due termini greci rhòdon (rosa) e déndron (albero) in riferimento alle specie legnose aventi fiori di colore tendente al rosa-rosso. L'attributo specifico latino ponticum (del Ponto) allude alla provenienza geografica della specie, corrispondente all'odierna Turchia nord-orientale



questa specie di rododendro, diffusa spontaneamente dalla Spagna all'Asia Minore, può arrivare a 6 metri di altezza ed altrettanti di larghezza, ma difficilmente in coltivazione raggiunge le dimensioni definitive. Si tratta di un arbusto o di un piccolo albero sempreverde a portamento espanso, molto rustico, che come tutti i rododendri non tollera il calcare nel terreno e nell'acqua. I terreni migliori sono quelli tendenzialmente sciolti, ben drenati, ricchi di sostanza organica, con pH compreso tra 5.0 e 6.0. Vive bene in posizioni ombreggiate e riparate dai venti freddi invernali.
L'intera pianta è completamente glabra, carattere che la distingue da una specie molto simile come R. catawbiense.
Questa specie è suddivisa in diverse sottospecie: baeticum è tipica della penisola iberica, album ha fiori bianchi, cheiranthifolium e lancifolium hanno entrambe foglie più strette e dimensioni ridotte, variegatum ha foglie marginate di bianco-crema  


le foglie sono persistenti, opposte, glabre, lanceolate od oblungo-ellittiche, lunghe fino a 15-18 centimetri e larghe fino a 5, di colore verde scuro nella pagina superiore e più chiare in quella inferiore 








le infiorescenze, apicali, portano da 7 a 15 fiori campanulati, larghi 3-5 centimetri. I pedicelli fiorali ed il rachide sono glabri, di colore verde chiaro, mentre i fiori hanno colorazioni dal rosa al lilla al viola, anche in dipendenza della esposizione ai raggi solari della pianta


Saponaria ocymoides L. 1753

famiglia: Caryophyllaceae
sinonimi: Saponaria ocymifolia
nomi comuni: saponaria di roccia, saponaria montana, ocimoide rosa

ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dal termine latino sapo (sapone), per il succo mucillagginoso contenuto in alcune specie di questo genere, che forma schiuma con l'acqua ed ha un alto contenuto di saponine. L'attributo specifico ocymoides allude alla somiglianza di questa pianta al basilico (Ocymum)



la saponaria rossa è una pianta erbacea perenne a portamento prostrato, che forma piccoli e densi cuscini alti fino a 20-30 centimetri e larghi fino a 60, originaria dell'Europa occidentale e anche dell'Italia, dove è frequente in tutto l'arco alpino fino ad un'altezza di 2000 metri, su terreni asciutti e soleggiati, prevalentemente calcarei, mentre è assente nell'Italia meridionale e nelle isole.
Non teme il gelo e gradisce posizioni soleggiate o parzialmente ombreggiate (in particolare nelle zone in cui le estati sono molto calde ed asciutte). Si sviluppa bene su qualsiasi tipo di terreno ben drenato, anche molto povero, e deperisce facilmente in quelli troppo umidi.
Può trovare impiego come tappezzante nei primi piani delle bordure erbacee, nel giardino roccioso o per la decorazione dei muretti a secco, piantata negli spazi fra le pietre o sulla sommità, dove ricadendo avrà un effetto molto ornamentale. É ottima anche per essere piantata negli spazi liberi di un selciato irregolare in pietra


i fusti, che si dipartono da una radice rizomatosa strisciante, sono molto ramificati, prostrati, leggermente ingrossati ai nodi, lunghi 10-30 cm, pubescenti e di colore rossastro. Le foglie basali sono ottuse ed obovate, mentre quelle caulinari hanno forma ovato-lanceolata e colore verde chiaro. In primavera vengono quasi nascoste dai numerosissimi fiori, portati su steli fiorali che si ergono dai fusti striscianti. A fine stagione, in ottobre, prima dell’arrivo del freddo intenso, si recidono tutti i fusti a livello del terreno e si ricopre il cespo con foglie e terriccio. Con l’aiuto di una paletta da giardinaggio si effettua una vangatura del terreno intorno ai cespi, interrando anche un po’ di buon terricciato. Durante questa operazione, si recidono gli stoloni sotterranei che costituiscono un mezzo di propagazione naturale, evitando alla pianta di assumere un carattere invadente



 i fiori, larghi 1-2 centimetri, di colore rosa carico (raramente bianchi), delicatamente profumati, compaiono in grande abbondanza tra giugno ed agosto, riuniti in cime. Sono portati da brevi peduncoli ed hanno un calice tubuloso-cilindrico di colore rosso violaceo, pubescente e dentato all'apice; la corolla ha 5 petali spatolati disposti a stella, mentre gli stami sono 10 e portano antere piuttosto grosse di colore violaceo. Le piante ben sviluppate, dopo la fioritura, possono essere stimolate a produrne una nuova con una potatura decisa ed essere aiutate con la somministrazione di un fertilizzante liquido per piante da fiore
USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: la saponaria non ha impiego alimentare ma le foglie, i fusti e soprattutto le radici contengono buone quantità di saponine, tossiche se ingerite, che però possono essere sfruttate per il loro intenso ma delicato potere detergente, per la pulizia dei capelli fragili oppure delle pelli delicate o colpite da acne o psoriasi

Hibiscus rosa-sinensis L. 1753

famiglia: Malvaceae
nomi comuni: ibisco della Cina, rosa della Cina

ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dal termine greco hibiskòs, col quale Dioscoride denominò le piante simili all'altea, termine poi ripreso dal poeta latino Virgilio. L'attributo specifico latino significa letteralmente 'rosa della Cina'





l'ibisco della Cina è un arbusto sempreverde o semi-sempreverde (a seconda del clima)  originario delle aree calde dell'estremo Oriente, semirustico, alto fino a 5-10 metri in piena terra e nelle zone d'origine, che in vaso può raggiungere un'altezza di 3 metri. Non sopporta le basse temperature, avendo un limite minimo di sopravvivenza intorno ai -2°C, per cui può essere coltivato in piena terra solo nelle zone temperate a clima mediterraneo, in particolare quelle costiere, dove mostra anche un'ottima resistenza alla salinità. Pur soddisfatte queste condizioni cresce però meglio in posizioni soleggiate ma protette, riparate dai forti e freddi venti marini invernali. Le foglie permangono sulla pianta quando le temperature non scendono per troppo tempo al di sotto dei 16°C. Nelle zone dove le condizioni climatiche non permettono una coltivazione all'aperto, può essere allevato come pianta d'appartamento, riparando la pianta durante la stagione fredda e portandola all'aperto quando le temperature sono più alte (non prima di maggio).
I terreni preferiti sono quelli fertili e freschi, leggeri e molto ben drenati. Le annaffiature estive (maggio-settembre) dovranno essere costanti ed abbondanti, senza però che si verifichi nel terreno ristagno idrico; in inverno bisogna invece diminuire gli apporti idrici, mantenendo però un crto grado di umidità nel terreno. Durante la stagione vegetativa sono molto utili fertilizzazioni con concimi ricchi di fosforo e potassio, da somministrarsi a cadenza quindicinale, in particolare alle piante coltivate in vaso.
Esistono in commercio numerosissime varietà, che differiscono anche molto tra loro per grandezza e forma delle foglie, forma e colore dei fiori, grado di rusticità e dimensioni finali della pianta



nella specie tipo le foglie sono lucide, di colore verde scuro, ovato-lanceolate, con margine irregolarmente seghettato oppure frastagliato, apice acuminato e base cordata


i fiori sono il vero motivo per cui questa pianta è amata ed ampiamente coltivata in tutto il mondo. Sono fiori solitari, inodori, imbutiformi, larghi fino a 10-12 centimetri, molto appariscenti, che sbocciano da giugno ad agosto sui rami dell'anno, all'ascella delle foglie superiori; hanno una breve durata nel tempo, ma non appena sfioriscono vengono immediatamente sostituiti da nuovi fiori. Nella specie tipo hanno un calice formato da cinque sepali, disposti ad avvolgere la base del fiore e la corolla semplice, composta da 5 petali di colore rosso-cremisi, uguali, svasati all’estremità oppure piani, ben distanziati tra loro o leggermente sovrapposti l’uno all’altro. Dal centro della corolla si diparte la colonna staminale, formata dagli stami fusi tra loro: alla sua estremità troviamo le antere giallastre ed un foro dal quale fuoriesce le stilo portante 5 pistilli








nelle diverse varietà presenti sul mercato possiamo avere fiori semplici, semidoppi, doppi o stradoppi, con colori variabili dal bianco al rosa, al giallo, all’arancione, con diverse tonalità intermedie

Quercus suber L. 1753

famiglia: Fagaceae
sinonimi: Quercus occidentalis
nomi comuni: sughera, quercia da sughero

ETIMOLOGIA: secondo l'interpretazione più comunemente accettata, il nome generico è dato dall'unione dei due termini celtici kaer, quer (bello) e cuez (albero). L'attributo specifico è riferito al fatto che dalla corteccia di questa specie viene ricavato il sughero



la sughera è una quercia sempreverde a portamento arboreo, di medie dimensioni (fino a 20 metri), originaria della parte occidentale del bacino del Mediterraneo e del Portogallo, zone nei quali è ampiamente coltivata per la produzione commerciale di sughero.
La chioma è rada ed espansa, il tronco spesso contorto e nodoso.
È specie mediamente longeva (fino a 250-300 anni, ma assai meno nelle piante sfruttate commercialmente) e termofila, non sopportando temperature inferiori ai -5°C. Predilige ambienti caldi e moderatamente siccitosi, rifuggendo quelli troppo aridi e vegeta prevalentemente su suoli derivati da rocce a matrice acida, diventando sporadica nei suoli basaltici ed in quelli calcarei.
È particolarmente diffusa in Sardegna ed in Sicilia, lungo la fascia costiera meridionale della Toscana e nelle limitrofe aree pianeggianti e collinari della Maremma, più rara nelle altre zone costiere dell'area tirrenica ed in Liguria. Dal punto di vista ecologico occupa la stessa nicchia del leccio,
 al quale è assai simile, nelle stazioni meno asciutte e più calde del suo areale



la caratteristica più evidente di questa specie è il notevole sviluppo in spessore del ritidoma suberoso, detto in termine commerciale 'sughero', spesso fino a 7-8 centimetri, che si presenta di colore grigio-rossastro nei rami di alcuni anni d'età, dapprima con screpolature grigio-chiare, poi sempre più larghe e irregolari, fino a formare, dopo diversi anni, una copertura irregolare e spugnosa di colore grigio, detta comunemente 'sugherone' o 'sughero maschio'. dopo la rimozione a scopo commerciale del sughero maschio, il fellogeno produce ogni anno nuovi strati di tessuto suberoso che formano un rivestimento più compatto e più regolare, meno poroso, detto 'sughero femmina' o 'sughero gentile', con una fitta screpolatura prevalentemente longitudinale e meno profonda. L‘asportazione va praticata su esemplari di almeno 20 anni, e poi ripetuta ogni 10 anni: si tratta di una operazione esclusivamente manuale e alquanto delicata, eseguibile solo da personale qualificato: consiste infatti nel separare il ritidoma dal fellogeno, lasciando quest’ultimo intatto perché possa rigenerare nuovo ritidoma. L'anno in cui viene rimosso il sughero, il fusto ha un marcato colore rosso-mattone che nel tempo vira al rosso-bruno fino al bruno scuro quando il sughero femmina ha già raggiunto uno spessore significativo




le foglie sono alterne, verdi e coriacee, tomentose sulla pagina inferiore, generalmente piccole negli ambienti secchi, più grandi in quelli più freschi. Sono brevemente picciolate e hanno una lamina di forma variabile da ovata a oblunga. Il margine è generalmente dentato e spinoso, ma può presentarsi anche intero nella pianta adulta, più o meno revoluto. Possono confondersi facilmente con le foglie del leccio, da cui si distinguono essenzialmente per il minore numero di nervature


il frutto è una ghianda ovale di colore verde quando è immatura, bruna a maturità, lunga fino a 3 cm con apice molto breve. La cupola è più conica rispetto a quella del leccio, ricopre la ghianda per una lunghezza variabile da un terzo a metà, con squame grigio-verdastre, patenti, a volte retroflesse

Sanvitalia procumbens Lam. 1792

famiglia: Asteraceae
nomi comuni: sanvitalia, zinnia strisciante

ETIMOLOGIA: il nome generico è stato dato in onore dei Sanvitali, una famiglia nobiliare parmense grande finanziatrice di ricerche naturalistiche. L'attributo specifico latino procumbens (procombente) indica la caratteristica dei rami di questa specie di dirigersi originariamente verso terra, per poi erigersi verso l'alto nella parte distale




la sanvitalia è una pianta erbacea annuale originaria del Messico, strisciante, alta fino a 15-20 centimetri, adatta ad essere coltivata in vaso, in panieri appesi, nei primi piani delle bordure erbacee o nel giardino roccioso. Ha portamento tappezzante o ricadente, con molte esili ramificazioni. Si semina in primavera, quando le temperature non sono inferiori ai 18-21°C, direttamente a dimora o nei contenitori definitivi, coprendo i semi con un sottilissimo strato di sabbia o terriccio leggero. Nelle regioni a clima invernale mite può essere seminata a fine estate. Quando le piantine sono alte 1-2 centimetri si diradano lasciando 5-8 cm tra le piante, in quanto questa specie non gradisce molto il trapianto.
La sanvitalia è una pianta di facile coltivazione, anche partendo dal seme. Preferisce esposizioni molto soleggiate, dove forma cespugli densi e ben ramificati, ricchi di fiori e terreni sciolti, fertili e ben drenati. Si adatta però anche a terreni più compatti, dove però la vegetazione risulta essere leggermente più stentata. Gradisce costanti ed abbondanti annaffiature, soffrendo gli stress idrici, anche se si riprende bene da brevi periodi di mancanza d'acqua. Assieme all'acqua è opportuna la somministrazione di un concime per piante fiorite, con cadenza quindicinale durante tutto il periodo vegetativo



le foglie sono ovate, opposte, di colore verde intenso, leggermente tomentose, distribuite piuttosto distanti sui piccoli fusti (anch'essi ricoperti di una leggera peluria)



i fiori sono capolini di 1,5-2 cm di diametro con i petali gialli (o arancio) e disco centrale più scuro, simili a piccoli girasoli. La fioritura avviene dall'inizio dell'estate (a seconda dell'epoca di semina) fino ad autunno inoltrato ed è molto generosa per tutto il periodo. Al termine della fioritura tende facilmente ad andare a seme, per cui  è importante eliminare tutti i capolini sfioriti per favorire l'emissione di nuovi getti fiorali. Verso la fine dell'estate è però necessario preservarne i semi se si desidera utilizzarli per le semine dell'anno successivo


Punica granatum L. 1753

famiglia: Lythraceae
nome comune: melograno da frutto, pomogranato

ETIMOLOGIA: il nome generico è quello con cui gli antichi romani denominavano il melograno, derivante dal sostantivo poeni (punici, cartaginesi) in riferimento alla presunta origine geografica della pianta. L'attributo specifico latino granatum descrive la grande presenza di semi all'interno del frutto



il melograno è un arbusto od un piccolo albero spogliante alto fino a 6 metri, originario della Persia e dell'Afghanistan, coltivato da tempo immemorabile sia per la produzione di frutti, sia per la splendida fioritura. Sia le varietà da frutto sia quelle da fiore sono molto pollonifere, coi fusti spesso contorti e spinosi, per cui è abbastanza difficoltosa la coltivazione ad alberello. Predilige le zone a clima mite, per cui nelle zone più fredde deve essere messo in posizione riparata. Cresce bene in posizione soleggiata ed in terreni fertili, freschi, di medio impasto


le foglie sono opposte o sub opposte, lucide, strette ed allungate, intere, larghe 2 cm e lunghe 4–7 cm, dapprima rossastre poi di colore verde chiaro. In autunno, prima di cadere, assumono una colorazione gialla molto decorativa.



i fiori compaiono da maggio a luglio e sono fiori tubulosi, lunghi 3-5 cm, con il calice di colore rosso e di consistenza coriacea, persistente e dal quale, fuso con l’ovario, si origina il frutto. La corolla invece è formata da petali caduchi, anch'essi di colore rosso corallo




il frutto (comunemente noto come melagrana) è una bacca (o più propriamente una 'balausta') di consistenza robusta, con buccia dura e coriacea, di forma rotonda o leggermente allungata, del diametro di 5-12 cm, la cui dimensione è condizionata dalla varietà e dalle condizioni di coltivazione. All'interno del frutto troviamo delle ripartizioni interne che svolgono funzione di placentazione ai semi, detti arilli (fino a 600 ed oltre per frutto). In alcune varietà i semi sono circondati da una polpa traslucida colorata dal bianco al rosso rubino, più o meno acidula e, nelle varietà a frutto commestibile dolce e profumata. Il frutto reca in posizione apicale (opposta al picciolo) una caratteristica robusta corona a quattro cinque pezzi, residuo del calice fiorale

USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: tutta la pianta del melograno è ricca di sostanze fenoliche che vengono usate in erboristeria nella prevenzione dell'invecchiamento cutaneo causato della presenza di radicali liberi, per la loro funzione di antiossidanti naturali. Nel frutto sono presenti anche acido ascorbico, acido borico, acido cictrico, acido malico, acido clorogenico, acido neo clorogenico, acido p-cumarinico, acido pantotenico, beta-carotene, oltre a minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, rame e zolfo.
Il succo di melagrana e l'olio ricavato dai suoi semi hanno dimostrato possedere un potere antiossidante paragonabile a quello del te verde e superiore a quello del vino rosso