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Acer palmatum Thunb. 1783



famiglia: Sapindaceae
nomi comuni: acero palmato, acero giapponese



ETIMOLOGIA: il nome del genere è coniato dal termine latino acer (duro, aspro) per la particolare durezza del legname. L'attributo specifico latino palmatum (a forma di palmo)  è riferito alla forma palmata delle foglie




l'acero palmato è un piccolo alberello od un arbusto a foglie caduche originario del Giappone ( viene chiamato Momji), dove si trova allo stato spontaneo in boschi collinari e montani di latifoglie, in clima temperato e su suolo ricco di sostanza organica, alto 4-5 metri (può arrivare fino a 9-10) e largo fino a 3, con chioma a piramide rovesciata nei giovani esemplari e cupoliforme in quelli adulti. Viene comunemente chiamato acero giapponese, anche se ciò può ingenerare confusione in quanto con questa denominazione generica si indicano anche altre specie come A. japonicum, A. shirasawanum, A. sieboldianum, A. pseudosieboldianum (di origine giapponese) e A. circinatum (di origine americana).
È una pianta dalla crescita piuttosto lenta, coltivata da svariati secoli in Giappone, e poi dal 1820 anche in Europa e nei giardini delle zone temperate di tutto il mondo, per il suo portamento e la bellezza del fogliame, particolarmente evidente in primavera e poi anche in autunno, quando assume una vivace colorazione rossa. Molto apprezzato anche per la tecnica del bonsai. L'aspetto e la forma delle foglie di questa specie sono piuttosto variabili: per questo motivo la specie tipica è poco coltivata ma da essa sono state selezionate nei secoli oltre mille cultivar con caratteristiche anche molto diverse tra loro, ma sempre estremamente decorative ed interessanti.
Non teme particolarmente il freddo e pur tollerando il calcare ed adattandosi a diversi tipi di terreno, predilige quelli sub-acidi, sciolti e freschi, ricchi di sostanza organica e privi di ristagno idrico, in posizioni luminose ma parzialmente ombreggiate (in particolare nelle zone a clima estivo molto caldo e secco), riparate dal vento. L'esposizione ideale sarebbe quella con sole al mattino e ombra nelle ore più calde del pomeriggio, per evitare che il sole bruci le foglie. Non ama particolarmente le potature, in particolar modo quelle più severe, alle quali reagisce in modo stentato: queste devono perciò mirare, quando necessarie, esclusivamente al mantenimento della forma dell’albero, asportando eventuali rami secchi, danneggiati od in sovrannumero.
L'acero palmato viene coltivato a scopo ornamentale nei parchi pubblici, nei giardini anche di piccole dimensioni, a bonsai e per la formazione di alberature stradali. Si adatta molto ben alla coltivazione in vaso. Nel complesso è una pianta di non facile coltivazione che però, se trova condizioni ottimali, offre uno spettacolo eccezionale durante lo svolgersi della quattro stagioni



il fusto, a volte multiplo, è spesso tortuoso e ramificato, con corteccia liscia di colore grigio scuro. I giovani rami sono verdi o rossastri. Le foglie sono caduche, opposte, provviste di picciolo, lunghe e larghe 5-12 cm, formate da 5-9 lobi acuminati, con incisioni profonde e margini seghettati, di colore verde chiaro in primavera-estate, che in autunno vira ad un rosso-arancio. Della variabilità della colorazione del fogliame e della sua forma è già stato accennato



i frutti, come in tutti gli aceri, sono disamare, in questo caso di colore dapprima rossastro, poi verde e quindi bruno, costituite da due semi alati disposti in modo da formare un angolo quasi piatto, lunghe complessivamente 2-3 cm


Zamioculcas zamiifolia (Lodd.) Engl. 1905

famiglia: Araceae
sinonimi: Caladium zamiaefolium,   Zamioculcas loddigesii 
nome comune: zamia, gemma di Zanzibar 





ETIMOLOGIA: il nome generico è dato dall'unione del termine Zamia (pianta delle Cicadaceae) con quello arabo kolkas, col quale si indicava la Colocasia, un'aracea utilizzata a scopo alimentare in Asia ed Africa. L'attributo specifico è riferito alla somiglianza delle foglie di questa specie a quelle della Zamia





la zamia è una pianta erbacea sempreverde, semisucculenta, alta fino a 45-60 centimetri, dalla lenta crescita, originaria delle zone tropicali dell’Africa Orientale, dal Kenia fino alla zona nord-orientale del Sudafrica, ma in particolare della Tanzania e dell'isola di Zanzibar.
È una pianta delicata, che ha una temperatura ottimale di coltivazione di 20-25°C e soffre le temperature inferiori ai 15°C. Non ha particolari esigenze di illuminazione, potendo vivere sia in ambienti molto luminosi (mai però al sole diretto) sia in zone più buie. In inverno gradisce temperature più fresche rispetto a quelle estive. Nelle zone a clima mite può essere portata all'esterno durante la stagione più calda.
Si adatta a tutti i tipi di terreno ma predilige terreni soffici e ben drenati, privi di ristagno idrico. Le annaffiature devono essere abbondanti durante la stagione vegetativa, lasciando però asciugare il terreno tra un'annaffiatura e l'altra, mentre in inverno vanno notevolmente ridotte. Il ristagno idrico provoca ingiallimento e caduta delle foglie, mentre l'eccessiva siccità può far seccare la parte aerea della pianta (così come avviene in natura nelle zone d'origine), che però può riformarsi dal rizoma sotterraneo quando le condizioni climatiche lo consentono. In estate, nell'acqua di annaffiatura è utile somministrare un concime liquido a basso tenore di azoto, a cadenza bisettimanale. Se necessario, la pianta può essere sistemata in un vaso appena un po' più grande in primavera. Le foglie possono essere pulite dalla polvere con un panno leggermente inumidito. La potatura non è necessaria: basta soltanto eliminare le parti secche o lesionate per evitare che diventino veicolo di malattie parassitarie. La moltiplicazione, per suddivisione dei bulbi o per talea fogliare, è abbastanza semplice.
È una pianta commercializzata sin dal 2000, che sta riscuotendo sempre maggiore successo come pianta d'appartamento, sia perchè veramente decorativa nell'aspetto, sia per la sua facilità di coltivazione e  la resistenza alle condizioni non facili di luminosità ed umidità che si instaurano nell'ambiente domestico




i fusti, erbacei e carnosi, si originano direttamente da un rizoma sotterraneo simile ad una patata ed in realtà sono foglie radicali ingrossate alla base, paripennate, con 6-8 paia foglioline lunghe 7-15 centimetri, lucide e carnose, di colore verde scuro, opposte a due a due e disposte in maniera spiralata. Alla base delle foglie spesso si originano bulbi. Le piante coltivate in maniera ottimale possono produrre, da metà estate ad inizio autunno, infiorescenze spatiformi simili a quelle delle calle, con spata convolta e spadice claviforme, portante numerosi fiorellini biancastri


ATTENZIONE: tutte le parti della pianta sono velenose per ingestione, per cui è opportuno tenere la pianta lontano dalle zone di gioco di bambini ed animali. È anche buona norma usare guanti quando si effettuano operazioni colturali su questa pianta


Vitex agnus-castus L. 1753

famiglia: Lamiaceae
nomi comuni: agnocasto, làgano, pepe del monaco




ETIMOLOGIA : il nome generico è lo stesso con cui Plinio il Vecchio denominava questa pianta, a sua volta mutuato dal verbo latino viere (legare, intrecciare), in quanto i rami di questa pianta, simili a quelli del salice, erano impiegati per effettuare legature e per intrecciare cesti. Anche lo studioso greco antico Teofrasto citò nelle sue opere questa essenza, chiamandola col nome di agnós (casto, puro). L'attributo specifico agnus-castus  sta quindi a significare purissimo








l'agnocasto è un piccolo alberello od un grosso arbusto molto longevo, a foglie decidue, alto fino a 4-6 metri, originario del bacino del Mediterraneo, con areale che si spinge al medio Oriente fino alla Persia. Allo stato spontaneo vegeta nei luoghi umidi, sulle sponde di torrenti e ruscelli e nelle tipiche fiumare mediterranee, fino ad un'altitudine di 500 metri, associandosi all'oleandro, al mirto e alle tamerici.
Ha portamento eretto e fusti flessibili, ramificati fin dalla base con vigorosi rigetti. I giovani rami hanno sezione quadrangolare, con peli generalmente curvati. La corteccia è grigio-bruna e tende a desquamarsi longitudinalmente.
È una pianta da climi miti, temperato-caldi, ma può crescere anche nelle zone a clima invernale rigido, purchè posta in posizione riparata dai venti freddi. Gradisce posizioni soleggiate o leggermente ombreggiate e, pur prediligendo terreni ricchi, freschi e profondi, vegeta bene in qualsiasi tipo di terreno, purchè ben fornito d'acqua



le foglie sono caduche, ad inserzione opposta, lungamente picciolate (4-5 centimetri), composte, palmato-digitate, con lamina lunga e larga 12-15 centimetri, suddivisa in 3-7 (più frequentemente 5) segmenti che si riuniscono nel punto di inserzione alla sommità del picciolo. Le singole foglioline sono lanceolate, con apice acuminato e margine leggermente revoluto, ed hanno colore verde grigio brillante sulla pagina superiore, mentre sono più chiare in quella inferiore per la presenza di una diffusa pubescenza. Se stropicciate sono molto aromatiche, emanando un profumo simile a quello delle foglie di salvia




da maggio fino ad agosto compaiono infiorescenze a spiga, ascellari o terminali, lunghe fino a 30 centimetri, ciascuna contenente fino a 20 verticilli fiorali leggermente distanziati tra loro, formati a loro volta da numerosi fiori ermafroditi, brevemente peduncolati e gradevolmente profumati. I singoli fiori hanno calice gamosepalo, campanulato, con 5 piccoli denti di forma deltoide e corolla leggermente bilabiata, con petali di colore variabile dal rosa al violetto, dalla quale sporgono 4 stami molto evidenti. L'impollinazione avviene ad opera degli insetti (entomogama) ed il frutto è una drupa rotondeggiante, larga 3-4 millimetri, di colore rosso-brunastro, parzialmente avvolta dal calice nella sua parte prossimale




CENNI STORICI E CURIOSITA': questa pianta era conosciuta fin dall'antichità come pianta officinale e medicinale ed infatti la troviamo menzionata già nelle opere scientifiche di Plinio il Vecchio (I° secolo d.C.), e prima ancora dai greci Dioscoride, Teofrasto ed Ippocrate (il padre della medicina moderna, IV° secolo a.C.). Quest'ultimo ne proponeva l'impiego per sanare infiammazioni ed ingrossamento della milza, mentre con un macerato di foglie curava emorragie e postumi del parto. Dioscoride invece riteneva aiutasse la guarigione dai morsi degli animali selvatici, dalle infiammazioni alla milza, dall'idropisia e dalle malattie dell'utero.
Gli inglesi ritenevano che l'assunzione di questa pianta sopprimesse gli ardori sessuali nelle donne che ne facessero uso, tanto da chiamare la pianta 'Chaste Tree' (albero casto). Anche la Chiesa pensava che mettere parti di questa pianta nelle tasche dei monaci potesse diminuire i turbamenti sessuali legati al voto di castità.
I frutti dell'agnocasto erano impiegati anche per condire le vivande nei monasteri, tanto che un altro nome comune della pianta è quello di 'pepe del monaco' (Monk's Pepper)



USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: in erboristeria si impiegano i frutti maturi ed essiccati, che contengono oli essenziali (pinene e cineolo), flavonoidi (casticina, luteolin-7-glucoside, omoorientina), alcaloidi (viticina), steroidi (progesterone, 17-alfa-idrossiprogesterone), sesquiterpeni (castina), triterpeni, composti fenolici e glucosidi.
Nella medicina tradizionale l'agnocasto è sempre stato impiegato nella regolazione del ciclo di ovulazione delle donne, riducendo inoltre gli effetti collaterali della menopausa come l'insorgere delle vampate di calore. Ciò avviene mediante la stimolazione della produzione di sostanze ormonali da parte dell'ipofisi.
L'estratto dei frutti è attualmente utilizzato per la cura dei sintomi premestruali, oltre che per ridurre le eccessive perdite mestruali durante questa delicata fase.
Risulta inoltre utile nelle palpitazioni, nel dolore al plesso solare, nelle vertigini, negli spasmi intestinali, nell'insonnia. Inoltre, sembra sia utile per sedare gli stimoli sessuali (anafrodisiaca) e che sia una pianta attiva sul sistema endocrino

Attenzione!!! Questi non sono consigli medici!!!
Eventuali prodotti vanno usati con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista




Tradescantia pallida 'Purple Heart'

famiglia: Commelinaceae
sinonimo: Setcreasea pallida 'Purple Heart'
nome comune: erba miseria, tradescantia


ETIMOLOGIA: il nome generico è stato dato in onore dei due olandesi John Tradescant, padre e figlio, vissuti all'inizio del XVII° secolo, giardinieri, viaggiatori ed introduttori di piante dal Nuovo Mondo. Il secondo, emigrato proprio nelle Americhe, fece arrivare questa specie in Europa. L'attributo specifico pallida è riferito al colore dei fiori








Tradescantia pallida, comunemente chiamata 'miseria' o 'erba miseria' è una pianta erbacea perenne semisucculenta originaria del Messico ed introdotta in Europa come pianta ornamentale intorno agli anni '50. Sul continente americano viene spesso considerata come infestante e può creare seri problemi in quanto qualsiasi frammento di stelo accidentalmente staccato dalla pianta può emettere radici molto facilmente.
I fusti sono lunghi e striscianti, ricadenti se la pianta è coltivata in vaso in posizione rialzata o in panieri appesi. Nei luoghi più caldi, tollera bene la stagione invernale e si distingue per l'appariscente colore purpureo delle foglie, ben intonato a quello rosa pallido del fiore. Per stimolare la vegetazione e rendere le piante più compatte è consigliabile eliminare le foglie secche e cimare gli apici vegetativi.
Nelle zone dove gli inverni sono rigidi le piante vanno riposte in serra calda od in appartamento, al riparo dalle basse temperature invernali, riportandole poi all'aperto quando le temperature esterne sono intorno ai 15 °C, anche se la temperatura ideale è quella intorno al 21-24°C. I vasi vanno sistemati in un luogo abbastanza luminoso, evitando però la luce diretta del sole, che potrebbe essere dannosa per il fogliame.
Il terreno deve essere ricco, soffice e molto ben drenato e le irrigazioni, durante il periodo di crescita devono essere abbondanti, ricordandosi però che tra una annaffiatura e l'altra occorre aspettare che il terriccio del vaso sia asciutto, perlomeno in superficie. In inverno gli apporti idrici vanno notevolmente ridimensionati, limitandosi a non far asciugare mai completamente il terriccio. Poichè richiede un’elevata umidità ambientale, se durante l’inverno l’aria in appartamento si presenta troppo secca, può essere molto utile spruzzare regolarmente il fogliame con acqua a temperatura ambiente. Durante la stagione vegetativa, da maggio a settembre, è consigliabile anche somministrare un concime liquido a cadenza quindicinale.
Ogni anno in aprile le piante devono essere rinvasate e, generalmente, vengono sostituite ogni due anni. La riproduzione per talea è molto facile in quanto parti di ramo recise radicano con grande facilità, anche in acqua: le talee radicate si piantano a gruppi di 3 in vasetti di 8-10 centimetri di diametro




le foglie sono ovali, acuminate all'apice, dal margine liscio, prive di picciolo, parzialmente fascianti alla base intorno al fusto, lunghe 7-15 centimetri, di colore verde soffuso di porpora sulla pagina superiore e color  rosso-porpora su quella inferiore. La colorazione purpurea del fogliame si accentua in proporzione alla luminosità a cui è esposta la pianta



i fiori, piccoli e poco appariscenti, hanno 3 sepali, 3 petali di colore bianco-rosato e 6 stami giallastri. Sono riuniti in rade infiorescenze terminali, con boccioli e rossastri e pubescenti che sbocciano da giugno a settembre



CURIOSITA': la tradescanzia è stata inserita, dopo studi molto approfonditi, tra le cosiddette piante antistress, piante cioè che, oltre a contribuire con la loro sola presenza sul luogo di lavoro ma anche in casa al benessere psicofisico, agiscono anche filtrando l’aria e catturando diverse sostanze volatili dannose che possono provocare disturbi come asma, allergie e altre più o meno gravi patologie, in definitiva rendendo la casa e l’ufficio un ambiente più gradevole e di gran lunga più vivibile, con un grande miglioramento del livello di pulizia e di salubrità dell'aria




Tradescantia x andersoniana 'Innocence'

famiglia: Commelinaceae
nome comune: erba miseria, tradescantia



ETIMOLOGIA: il nome generico è stato dato in onore dei due olandesi John Tradescant, padre e figlio, vissuti all'inizio del XVII° secolo, giardinieri, viaggiatori ed introduttori di piante dal Nuovo Mondo. Il secondo, emigrato proprio nelle Americhe, fece arrivare questa specie in Europa





con la denominazione di T. x andersoniana è denominato un gruppo ibrido di piante erbacee perenni a portamento tappezzante e cespitoso, derivati da vari incroci tra Tradescantia virginiana, T. ohiensis e T. subaspera, tutte originarie del Nordamerica. Rispetto alle specie originarie questi ibridi sono piante molto vigorose, raggiungendo un'altezza ed una larghezza di 30-45 centimetri, ed hanno fiori più grandi e vistosi, con diverse tonalità di colore. Le foglie, nastriformi o lanceolate, lucide e di colore verde brillante, si originano da un cespo centrale a partire dalla primavera. All'inizio dell'estate compaiono germogli simili a foglie alla cui sommità vi sono rade infiorescenze che portano fiori con tre petali e sei delicati stami dalle antere di colore giallo. La fioritura prosegue ininterrotta per diverse settimane, con colorazioni che vanno, a seconda della varietà, dal bianco all'azzurro al porpora al violetto. Col calore dell'estate la parte aerea può appassire, per riformarsi poi quando le condizioni ambientali tornano ad essere più favorevoli. Per mantenere la bellezza delle piantine è necessario rimuovere in continuazione i fiori appassiti e le foglie ingiallite. Prediligono posizioni ombreggiate ma luminose, al riparo dall'incidenza diretta dei raggi solari e terreni fertili ed umidi, mal tollerando la siccità: per questo motivo necessitano di abbondanti irrigazioni, in particolare nel periodo estivo. Resistono alle basse temperature, per cui generalmente  si coltivano in piena terra, nelle bordure ombreggiate oppure sotto alberi e grandi arbusti. In autunno il fogliame va tagliato ed i cespi leggermente coperti con pacciamatura


la varietà 'Innocence' forma un cespo compatto di foglie nastriformi, semi-sempreverdi, di colore verde tenue. I fiori, che compaiono dalla tarda primavera fino alla fine dell'estate, sono riuniti in rade infiorescenze situate alla sommità di steli rigidi ed hanno tre petali di colore bianco puro e sei stami anch'essi bianchi con le antere gialle

Epiphyllum x ackermannii Haw.

famiglia: Cactaceae
sinonimi: Disocactus ackermannii, Nopalxochia ackermannii, Phyllocactus ackermannii
nome comune: epifillo, lingua di suocera


ETIMOLOGIA: il nome generico è derivato dall'unione dei due termini greci epí (sopra) e fýllon (foglia), per i fiori che nascono sopra o ai margini dei cladodi, erroneamente considerati foglie




le piante che normalmente definiamo come epifillo sono in realtà un gruppo piuttosto numeroso di ibridi, originari delle zone tropicali di Messico, Centro- e Sudamerica, ottenuti quasi certamente nel XIX° secolo dall'incrocio di Epiphyllum con Heliocereus e raggruppati con la denominazione comune di E. x ackermannii. Le specie tipiche sono poco diffuse in coltivazione. Attualmente questi ibridi sono stati inseriti dai botanici nella nuova specie Disocactus ackermannii.
Sono piante cespitose, con fusti cerosi, piatti o ritorti, simili a foglie spesse e allungate. Tali fusti, inizialmente cilindrici e poi nastriformi per tutta la lunghezza, eretti o ricadenti, sono lunghi fino a 90 cm e presentano margini dentellati o crestati, nei quali si trovano le areole lanose, con poche spine setolose e morbide, o anche prive di spine.
Sono piante da coltivare in vaso con substrati leggermente acidi e sciolti, ricchi di materiale inerte, molto ben drenati. Prediligono semi-ombreggiate ma luminose, al riparo dell'incidenza diretta dei raggi solari. Durante la stagione vegetativa è necessario intervenire con abbondanti irrigazioni, mentre nel periodo di riposo è sufficiente mantenere leggermente umido il substrato di coltura. Con le irrigazioni bisogna anche concimare, aggiungendo all'acqua durante il periodo vegetativo, ed in particolare alla comparsa dei boccioli fiorali, un concime liquido per cactacee, povero in azoto e ricco di fosforo e potassio, a scadenza quindicinale. Gli epifilli, come gran parte delle piante tropicali, amano l'umidità dell'aria, per cui si rivela utile, durante il periodo di crescita e nei periodi più caldi, l'applicazione di nebulizzazioni fogliari
La temperatura minima tollerata è di +10°C, per cui gli epifilli possono essere coltivati all'aperto solo nelle zone a clima mite dell'Italia centro-meridionale, mentre nell'Italia del Nord vanno tenuti in ambiente riparato da ottobre fino all'inizio di aprile



in natura gli epifilli sono piante epifite, che non vivono nel terreno ma crescono sulle forcelle dei grandi alberi o nelle crepe tra le rocce, dove le loro radici, grosse e fibrose, ricavano acqua e sostanze nutritive dai detriti organici che vi si depositano. I fusti, chiamati cladodi, si presentano carnosi, di colore verde scuro, coi margini dentellati ed ondulati. In sezione appaiono appiattiti o triangolari, con la nervatura centrale ingrossata



i fiori imbutiformi, di colore scarlatto, larghi fino a 15 centimetri, sbocciano in gran quantità lungo i bordi dei fusti carnosi a partire da maggio-giugno e rimangono aperti solo di giorno



Sophora japonica L. 1753

famiglia: Fabaceae
sinonimi: Styphnolobium japonicum
nome comune: sofora del Giappone


ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dal termine arabo sufayrà, col quale erano denominate alcune piante simili alla cassia, a fiori papilionacei. L'attributo specifico rimanda alla provenienza geografica di questa pianta







la sofora è un albero deciduo di medie dimensioni, originario della Cina e propagatosi poi in Corea e Giappone, per certi versi simile alla robinia (dalla quale differisce per l'assenza di spine e per le foglie che sono acuminate all’apice), alto fino a 20 metri e dalla crescita piuttosto lenta. La sofora è stata coltivata in Cina fin dai tempi più remoti, come albero da collocare nei pressi dei templi (da cui il nome inglese di pagoda tree) o vicino alle tombe dei personaggi più illustri.
Specie introdotta in Europa dalla Cina nel 1747, per la prima volta, a Parigi, al Jardin des plantes, dal missionario gesuita e botanico francese Pierre Nicolas Le Chéron d'Incarville, è stata da quel momento diffusa ed utilizzata come pianta ornamentale per il pregevole fogliame, per la bellezza della fioritura e per l’eleganza del portamento eretto, col tronco diritto e la chioma snella, ampia e globosa. In Italia si è naturalizzata in talune zone della Romagna, dove vive allo stato spontaneo nei boschi di latifolie fino ad un'altezza di 500 metri di altitudine.
Predilige posizioni soleggiate, necessitando di molta luce e di un buon ricambio d’aria, per cui è consigliabile una sua messa a dimora come pianta singola. Non teme il freddo intenso invernale, anche se le piante giovani possono subire danni in presenza di gelate prolungate. Cresce meglio in terreni soffici e ben drenati, ricchi di sostanza organica e sopporta agevolmente brevi periodi di siccità. È molto resistente anche i venti, forti e intensi oppure gelidi, oltre ad essere indifferente ai danni causati dall’inquinamento atmosferico e dalla polvere presenti nelle aree urbane



il fusto è eretto, contorto e nodoso con l'età, con corteccia rugosa e screpolata, di colore marrone chiaro, e legno molto duro e resistente. I giovani rami sono sinuosi e di colore grigio-verdastro, punteggiati da evidenti lenticelle giallastre




le foglie sono caduche, ad inserzione alterna, composte, imparipennate, con 7-13 foglioline ovate, di 3-5 cm, con lamina ovato-lanceolata, acuminate all'apice ed a margine intero, con le nervature che si prolungano oltre l'apice. La pagina superiore è verde brillante e lucida, mentre quella inferiore è più opaca e di colore tendente al grigio.
In autunno il fogliame assume un caratteristico color oro su entrambi i lati




i fiori ermafroditi, papilionacei, profumati, di colore bianco crema, misurano 1-2 centimetri di lunghezza e sono riuniti in infiorescenze pendule a pannocchia, ampie ed erette, lunghe 15-30 cm. La fioritura avviene nei mesi di luglio ed agosto



i frutti sono legumi dapprima turgidi e di colore verdastro, poi a maturità (dicembre) bruni e grinzosi, lunghi 6-10 cm, contenenti 3-7 semi ovoidali, nerastri a maturità, interspaziati da caratteristiche strozzature, che conferiscono al baccello un aspetto moniliforme



USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: dalle gemme della sofora si estrae la rutina, un bioflavonoide presente anche negli agrumi che agisce come antiossidante, rafforzando i capillari in modo da aiutare le persone che soffrono di arteriosclerosi o di ipertensione, intensificando anche l'effetto della vitamina C nel corpo, e favorendo naturali proprietà antivirali, anti-infiammatorie e anti-allergiche

Attenzione!!!  Questi non sono consigli medici!!!
Usate eventuali prodotti con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista