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Juglans regia L. 1753




famiglia: Juglandaceae
sinonimi: Juglans sinensis
nome comune: noce, noce comune, noce da frutto




ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dal termine, pervenutoci da Cicerone, con cui gli antichi latini denominavano il noce, a sua volta derivante dalla contrazione di Jovis glans (ghianda di Giove). L'attributo specifico proviene dall'aggettivo latino regius -a -um (reale), per la prelibatezza dei frutti e la loro superiorità rispetto a quelli di altre specie







il noce è un grande albero deciduo, vigoroso, alto fino a 30 metri, dal portamento maestoso, originario dell'Asia centro-orientale ma oramai pianta cosmopolita, presente negli ambienti temperati di tutto il mondo, anche nell'emisfero australe. Coltivato già nell'età della pietra (dal 9000 a.C. circa) in Italia è stato introdotto dagli antichi greci intorno al IV° secolo a.C. per i suoi frutti eduli, diffondendosi poi in tutta Europa con l'espandersi dell'Impero Romano, in quanto era considerato albero di grande valore, sia dal punto di vista economico-alimentare sia da quello religioso. È diffuso in tutto il territorio nazionale dal Nord al Sud, dal piano fino alla bassa montagna, ampiamente coltivato (soprattutto in Campania), ma lo si può anche trovare senza troppe difficoltà allo stato spontaneo o inselvatichito. Predilige posizioni soleggiate e suoli fertili e freschi, temendo sia il ristagno idrico sia un'eccessiva aridità del suolo, mentre resiste anche ad un elevato tenore in calcare. È pianta tipicamente mesofila, che mal tollera sia il gelo eccessivo sia il troppo caldo. Le zone più adatte al noce sono quelle di media collina, esposte a sud o a ovest, protette dai venti. Cresce lentamente e può vivere sino a 200 anni.
Per il suo portamento maestoso è utilizzato come pianta ornamentale nei parchi e nei giardini di grandi dimensioni, ma viene anche coltivato per il suo legno pregiatissimo e per la produzione di noci, impiegate per il consumo fresco e nell'industria dolciaria. Dal gheriglio viene estratto un olio commestibile e di ottima qualità, però poco conservabile perchè tende facilmente ad irrancidire. Col mallo dei frutti immaturi si prepara il nocino, un liquore molto diffuso. Le gemme e le foglie vengono utilizzate per le loro proprietà medicinali e tintorie.
Le radici del noce producono una sostanza, chiamata juglone, tossica per le altre piante, che quindi non riescono a svilupparsi e crescere troppo vicino agli alberi di questa specie



il tronco è molto robusto, eretto e diritto e può raggiungere fino a 150-200 centimetri di diametro, con corteccia grigiastra e liscia nella fase giovanile, che poi si screpola con l'età, diventando più scura e fessurata longitudinalmente. Il tronco principale si ramifica in grossi ma corti rami di colore bruno rossiccio, glabri, formanti una chioma ampia e arrotondata. Sui rami più giovani possiamo notare ampie cicatrici fogliari, lasciate dalla caduta delle foglie dell'anno precedente. Le gemme sono larghe e schiacciate, di un colore che va dal bruno-viola al nero.
Il legno del noce, molto pregiato ed elegantemente solcato da venature, con l'alburno chiaro e la parte interna color bruno-cioccolato, si presenta compatto e pesante ma nel contempo facile da lavorare: per questo motivo è molto apprezzato da ebanisti, scultori e falegnami, per la produzione di mobili, arredamenti, intarsi, torniture e impiallacciature. Il legno, tra l’altro, ha il pregio di non deformarsi con il passare del tempo, e questo lo rende ideale per la produzione di attrezzi tra i più disparati, come per esempio i calci da fucile e le stecche da biliardo





le foglie sono caduche, alterne, composte, imparipennate, dotate di un picciolo dilatato alla base, composte da 5-9 foglioline ellittiche a margine intero e lunghe 20-25 centimetri, quella terminale solitamente più grande delle altre. Sono di colore verde scuro superiormente, più chiare sotto, leggermente vellutate per la presenza di ciuffi di peli all'inserzione delle nervature secondarie sulla nervatura principale. Se schiacciate emanano un profumo debolmente aromatico





il noce è una pianta monoica, cioè con fiori dai sessi distinti ma presenti contemporaneamente sulla stessa pianta. Si sviluppano in primavera, prima della comparsa delle foglie, in infiorescenze separate. I fiori femminili, sessili e generalmente disposti a coppie, ma talvolta raccolti in gruppi comprendenti fino a 5 fiori verdi, si trovano alle estremità dei rametti nuovi. Quelli maschili, provvisti di tre petali e numerosi stami, sono riuniti in vistosi amenti penduli, cilindrici, di 5-10 centimetri, di colore bruno-verdastro, che si trovano in posizione ascellare sui rametti dell'anno precedente e che presto anneriscono e cadono. L'impollinazione avviene per mezzo del vento








i frutti sono drupe con seme commestibile, costituiti da una buccia sottilissima (epicarpo), glabra e punteggiata di ghiandole e dal mallo (mesocarpo) carnoso, verde e dall'odore caratteristico, che a maturazione del frutto diventa nero e si stacca. Al di sotto del mallo c'è la noce vera e propria, con guscio legnoso (endocarpo), diviso in due valve contenente il seme (gheriglio), suddiviso a sua volta in quattro spicchi irregolari e rugosi. Il seme è edule e di ottimo sapore, tanto più delicato quanto più fresco, essendo ricco di olio di ottima qualità, che però col tempo tende ad irrancidire



USO ALIMENTARE ED OFFICINALE: il gheriglio del noce è un alimento molto aromatico e gustoso, amaro, acido ed astringente, molto calorico (100 grammi forniscono circa 600 Kcal). Per la metà del suo peso è costituito da lipidi e per il 12% da proteine. L'80% dell'olio di noce è costituito da grassi polinsaturi ed è per questo motivo che manifesta notevoli proprietà anti-arteriosclerotiche. Contiene anche vitamina A e vitamina E.
Le foglie e le radici del noce sono ricche di juglone, una sostanza ad azione antimicotica, che le rende adatte nella cura delle infezioni fungine, impiegate come impacchi o decotti in trattamenti locali. Per via interna esercitano azione stomachica, ipoglicemizzante ed anti-diabetica, astringente, depurativa, anti-linfatica, ricostituente, vermifuga, antiemorroidea, antibiotica ed anti-acneica. Sono quindi utili per chi soffre di turbe digestive, iperglicemia, diarree, coliti ulcerose, leucorrea, intossicazioni, linfatismo, eczemi.
Anche la corteccia dei giovani rami è utile come decotto in quanto astringente e vermifuga. Il mallo è molto ricco di tannino e di vitamina C, tanto che se ne può usare il succo fresco come astringente ed anti-linfatico o sulla pelle come cicatrizzante, protettivo, anti-ustione solare o come abbronzante (olio di mallo).
Le gemme del noce si usano in gemmoterapia in forma di macerato glicerico, per la marcata attività depurativa ed eudermica, dove sono indicate perla cura di acne, dermopatie pustolose, ulcerazioni, micosi, iperidrosi, tracheobronchiti, otiti, salpingiti, cistopieliti, meteorismo, diarrea conseguente a trattamenti antibiotici, pancreatite cronica ed insufficienza pancreatica.
In floriterapia, è il Fiore di Bach denominato Walnut, considerato un rimedio per la difficoltà di adattamento alle situazioni nuove

Attenzione !!
Questi non sono consigli medici!! Usate eventuali prodotti con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista


Olea europaea ssp. sativa L. 1753

famiglia: Oleaceae
nome comune: olivo, ulivo

ETIMOLOGIA: il nome generico è quello con cui gli antichi latini denominavano questa pianta, a sua volta derivato dal celtico olew od eol. L'attributo specifico indica la provenienza della specie dall'Europa




l'olivo è un albero sempreverde tipicamente mediterraneo, originario del Medio Oriente, in una zona compresa tra il Caucaso, l'Altopiano Iraniano, le coste Siriane e quelle Palestinesi, che ha poi esteso nel corso dei secoli il proprio areale di diffusione in seguito alla coltivazione che il genere umano ne ha fatto fin dall'antichità, per ricavarne prodotti come olive ed olio. Si può affermare che la coltura dell'olivo ha da sempre rappresentato un grosso perno per l'economia di tutti i popoli mediterranei. Pare che in Italia sia stato introdotto dagli antichi greci, coltivato dapprima nelle regioni meridionali (Magna Grecia), per arrivare nel tempo a Nord fino alla Liguria ed alla zona dei grandi laghi prealpini, in particolare il lago di Garda.
La specie oggi tipicamente coltivata (denominata O. europaea spp. sativa) proviene con molta probabilità da una selezione effettuata anticamente in Siria su piante selvatiche di olivastro (O. europaea ssp. oleaster).
È una specie dalla longevità ultrasecolare, tipicamente eliofila e termofila, con caratteri di xerofilia molto spiccati. Soffre l'ombreggiamento, producendo una vegetazione lassa e, soprattutto, una scarsa fioritura. Il fattore climatico determinante sulla distribuzione dell'olivo è la temperatura: infatti la pianta manifesta sintomi di sofferenza a temperature di -3-4 °C. Sotto queste temperature gli apici dei germogli disseccano. In generale la sensibilità al freddo aumenta passando dalla ceppaia al fusto, ai rami, ai germogli, alle foglie, agli apici vegetativi e, infine ai fiori e ai frutticini. Le gelate possono danneggiare il legno già a temperature di -7 °C, mentre gelate più forti possono provocare la morte di tutto l'apparato aereo con sopravvivenza della sola ceppaia.
Predilige terreni sciolti o di medio impasto, freschi e ben drenati, ma vegeta bene anche su quelli grossolani o poco profondi, ricchi di scheletro e con rocce affioranti. Tollera bene anche i terreni salini e quelli calcarei, soffrendo invece nei terreni pesanti, soggetti al ristagno idrico.
La resistenza alla siccità è elevatissima, ma quando questa si prolunga troppo la pianta reagisce con la cessazione della crescita dei germogli e la riduzione della superficie traspirante tramite una parziale perdita delle foglie, unitamente alla chiusura degli stomi nelle foglie rimanenti ed al riassorbimento dei liquidi contenuti nei frutti in maturazione. Segni di ripresa dell'attività vegetativa si manifestano solo all'arrivo di precipitazioni meteoriche, ma in questo caso la produzione risulta alquanto compromessa


l'apparato radicale dell'olivo è piuttosto esteso e molto superficiale, costituito principalmente da radici avventizie che si espandono lateralmente e superficialmente. Nelle piante adulte la zona del colletto (il punto di intersezione tra il fusto e la radice) risulta ingrossata ed ampia (prende il nome di 'ceppaia' o di 'ciocco') ed è caratterizzata dalla presenza di formazioni più o meno sferiche, chiamate 'ovoli', dalle quali facilmente si sviluppano dei germogli ('polloni'). Se la base di un pollone viene interrata, questa radica con facilità, dando luogo al 'pollone radicato'.
Il tronco, di colore grigio-verde e liscio fino al decimo anno circa, diviene poi nodoso, scabro con solchi profondi e contorto, assumendo un colore scuro. È  più o meno lungo a seconda della forma di allevamento scelta e nelle piante ultrasecolari può raggiungere dimensioni ragguardevoli, sia in altezza che in larghezza. Il legno dell'olivo è molto duro e pesante, alquanto ricercato per lavoro di intarsio, tornio ed ebanisteria





le foglie, prodotte in continuazione dalla primavera all'autunno, sono semplici, persistenti, opposte, brevemente picciolate, lanceolate, lunghe in media 5-8 centimetri, coriacee, di colore grigio-verde nella pagina superiore, mentre sono bianco-argentee nella pagina inferiore per la presenza di minuscoli peli squamiformi che le proteggono da un'eccessiva traspirazione. Il margine è intero, a volte revoluto. Hanno una durata media di circa 2 anni. All'ascella di ogni foglia troviamo una gemma che potrà formare un'infiorescenza (se è una gemma a fiore) oppure un nuovo germoglio (se è una gemma a legno). Le gemme a legno rimangono vitali per molti anni, anche quando il ramo si è ingrossato e lignificato, potendo risvegliarsi in seguito a grossi traumi come rotture dei rami o drastiche potature


 


 i fiori dell'olivo sono riuniti in infiorescenze a pannocchia, pendule, che si originano dalle gemme a fiore situate all'ascella delle foglie dei rami di un anno. Quando i singoli fiorellini sono ancora in boccio le infiorescenze vengono chiamate 'mignole' e la fase fenologica in cui si trova la pianta è chiamata 'mignolatura'. Alla mignolatura segue la 'fioritura' vera e propria, che avviene, aseconda delle condizioni climatiche, da fine aprile a giugno.
I singoli fiori sono molto piccoli (3-5 millimetri) ed ermafroditi, presentando contemporaneamente organi maschili (2 stami) e femminili (1 pistillo); la corolla è costituita da 4 petali biancastri saldati alla base. Nonostante l'ermafroditismo dei fiori, gran parte delle varietà coltivate è autosterile, per cui la fecondazione, che è anemogama, avviene solo in presenza di esemplari di varietà diversa, anche se non troppo vicini. In genere il 5% dei fiori darà origine ad un frutto

 



i frutti dell'olivo sono le 'olive', drupe ovoidali che hanno un peso variabile dai 2 ai 20 grammi. Quando sono acerbe il colore è verde, poi con la maturazione questo cambia fino al giallo, al viola ed al nero-violaceo (il fenomeno è definito come 'invaiatura'). Contemporaneamente all'invaiatura avviene il processo di maturazione ('inoliazione'), durante il quale diminuisce nella polpa il contenuto in acqua, zuccheri ed acidi, mentre aumenta quello in olio.
Esistono centinaia di varietà (cultivar) di olive, da olio, da mensa e a duplice attitudine, che
hanno forma e dimensioni differenti e sono caratterizzate da un diverso rapporto tra nocciolo e polpa e quindi da un contenuto medio di olio variabile dal 18 al 27%; la loro produttività dipende da moltissimi fattori, sia climatici che agronomici


USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: l'olio di oliva è costituito da una mescolanza di lipidi diversi, formati chimicamente dall'unione della glicerina con i cosiddetti acidi grassi: fra questi l'acido oleico (che raggiunge l'80%) è il più importante, seguito dagli acidi linoleico, palmitico, stearico ed altri. Questo insieme agisce sull'organismo con effetti antitossici, lassativi, emollienti, colagoghi, anticolesterolici. Le foglie dell'olivo invece contengono il glucoside oleouropeina (fino all'1%) e inoltre tannino, zuccheri e altre sostanze. Hanno attività febbrifughe ed ipotensive e sono uno dei rimedi vegetali più efficaci contro l'ipertensione. Se ne raccomanda molto l'uso anche in caso di arteriosclerosi

Attenzione!!  Questi non sono consigli medici!! Usate eventuali prodotti con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista



Corylus avellana 'Red Majestic'

famiglia: Betulaceae
nome comune: nocciolo contorto purpureo

ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dall'antico termine greco con cui veniva denominata questa pianta, a sua volta originatosi da kòris (elmo), in riferimento all'involucro membranoso che ricopre la testa del frutto. L'attributo specifico deriva dal nome del paese di Avella, cittadina campana ai confini tra Sannio ed Irpinia nota sin dai tempi degli antichi Romani per la fiorente attività di produzione delle nocciole



è una varietà di nocciolo a rami tortuosi, presentata per la prima volta dal noto vivaio inglese Notcutt's al Chelsea Flowers Show del 2003, dopodichè ha riscosso un  ampio successo in quanto assomma le caratteristiche ornamentali positive del nocciolo contorto (Corylus avellana 'Contorta') a quelle del nocciolo purpureo (Corylus maxima 'Purpurea'). È un grande arbusto a lenta crescita, che può arrivare ad un'altezza di 250 centimetri, molto rustico, facile da coltivare in quanto si adatta alle più diverse condizioni climatiche e pedologiche. Predilige posizioni soleggiate, ma vegeta abbastanza bene anche a mezz'ombra. Le potature non sono necessarie, se non una cimatura nei primi anni per infittire la vegetazione e una monda estiva per eliminare i rami secchi


è un arbusto ornamentale in tutte le stagioni dell’anno, sia all’inizio della primavera, quando si aprono i fiori maschili (amenti) di color rosa, pieni di polline ed anche in autunno, quando dalle piante adulte si possono cogliere i frutti, nocciole rosse, non certo paragonabili come grossezza e bontà alle varietà da frutto, ma comunque buone da mangiare. Un accorgimento importante, visto che le piantine sono innestate a livello del terreno, è l'eliminazione, almeno due volte l’anno, dei i polloni selvatici che si originano dal portainnesto. Si riconoscono bene perché nascono al livello del terreno o addirittura sotto, crescono dritti e con le foglie verdi (si possono notare anche nell'immagine sovrastante). Se non si fa questa semplice operazione questi prenderanno il sopravvento sulla parte superiore e nel giro di pochi anni la pianta si trasformerà in un nocciolo selvatico



le foglie sono simili a quelle del nocciolo contorto, ampie e cordate ad apice arrotondato, dentate, leggermente grinzose, larghe fino a 10 centimetri, di colore rosso porpora brillante in primavera. In estate il colore vira verso un rosso-verdastro per tornare poi di nuovo tendente al rosso in autunno, prima della caduta


Diospyros kaki L. 1753

famiglia: Ebenaceae
nomi comuni: caco, kaki, diospiro

ETIMOLOGIA: il nome generico è dato dall'unione dei due termini greci antichi diós (Dio) e pyrós (frutto) e significa quindi letteralmente 'frutto degli dei'. L'attributo specifico kaki è il l'abbreviazione del nome originale giapponese 'kaki no ki', col quale la pianta veniva chiamata in quella terra fin dallo scorso millennio




il kaki è un piccolo alberello spogliante alto 5-12 metri, con diametro della chioma di 3-8 metri, originario della zona centrale della Cina, dove per oltre 2000 anni è stato coltivato come pianta ornamentale o per la produzione di frutti, diffondendosi nei secoli anche nelle zone circostanti, in particolare Corea e Giappone. Nei giardini italiani questa pianta era già coltivata sporadicamente fin dalla fine del XVIII° secolo (la testimonianza ci arriva dagli scritti di Filippo Re), ma cominciò a diffondersi solo nella seconda metà del secolo successivo, grazie alle importazioni in Europa dal Giappone delle diverse e migliori qualità che in quel Paese venivano coltivate. La creazione in Italia di impianti frutticoli inizia però ai primi del '900, prevalentemente in Campania ed Emilia-Romagna, più sporadicamente in Sicilia.
Il kaki un albero con radici fittonanti, di color bruno-nerastro, ed un fusto eretto, con corteccia scura ricoperta da piccole screpolature. La chioma ha forma tondeggiante o piramidale.
Pur essendo una pianta sub-tropicale, adatta a climi mediterranei, se innestata su opportuni portainnesti (D. virginiana o D. lotus) riesce a resistere agevolmente a temperature fino a -10°C, cominciando a soffrire solo intorno ai -15°C. Le piante giovani sono però più delicate e nei climi freddi devono essere protette durante la stagione invernale con coperture di paglia. Si adatta bene a qualsiasi tipo di terreno, compresi quelli argillosi, purché ben drenati, profondi e con scarso contenuto in metalli alcalini, preferibilmente ricchi di sostanza organica. Ama esposizione soleggiate ma sono da evitare le zone ventose, dove i rami tenderebbero a rompersi per l'eccessivo peso dei frutti.
Oltre che per la produzione intensiva di frutti, il kaki può essere coltivato anche nei giardini, in quanto ha foglie molto ornamentali che in autunno assumono una colorazione rosso-bronzea assai vistosa ed attraente. Inoltre dopo la caduta delle foglie i frutti in via di maturazione che permangono attaccati ai rami offrono una nota decorativa molto caratteristica



le foglie sono alterne, ovate, acuminate, un po' coriacee, glabre, lucide e di colore verde scuro nella pagina superiore, più glauche e quasi grigiastre in quella inferiore. In autunno, prima di cadere assumono un colore rossastro molto appariscente


il kaki è una pianta poligamo-dioica: esistono cioè piante con soli fiori maschili, piante con soli fiori femminili, piante con fiori ermafroditi e maschili, piante con fiori ermafroditi e femminili. Nelle forme allevate per il frutto si riscontrano solo fiori femminili (essendo gli stami abortiti) che sono solitari, con quattro petali di colore giallognolo. La fioritura avviene in aprile-maggio sui rami dell'anno.
La fruttificazione avviene o per via partenocarpica (senza che avvenga l'impollinazione) oppure in seguito ad impollinazione da parte di alberi della stessa specie provvisti di fiori maschili. Nel primo caso i frutti sono più ricercati in quanto privi di semi




i frutti della pianta sono comunemente chiamati cachi e maturano a novembre in concomitanza con la caduta delle foglie. Da immaturi hanno un color verde mela, poi virano dapprima al giallo e quindi verso una colorazione aranciata. Tecnicamente sono bacche piuttosto grosse e pesanti, sferoidali oppure schiacciate od appuntite, che arrivano fino a 10 centimetri di diametro e che dopo la raccolta, devono ulteriormente riposare per un breve periodo prima di raggiungere il classico gusto dolciastro, in quanto contengono al loro interno un alto contenuto in sostanze tanniche che scompaiono con la post-maturazione (chiamata anche ammezzimento). Infatti se ben maturi i cachi sono frutti gustosissimi con polpa dolcissima, simile ad una morbida crema, mentre quando sono ancora acerbi per l'alta quantità di tannino conservano un sapore agre che 'lega' la lingua e li rende immangiabili. Ultimamente però sono state messe in commercio varietà con frutti eduli fin dalla raccolta, dalla polpa più soda, che prendono il nome di kaki-mela

USO ALIMENTARE OD OFFICINALE: il caco è un frutto energetico, che apporta circa 65 kilocalorie per 100 grammi. Infatti contiene una grande quantità di zuccheri (circa il 18% in peso) ed è perciò sconsigliato nei regimi dimagranti, a chi soffre di diabete, a chi è affetto da obesità ed a chi soffre di disturbi alla digestione. Invece è assai indicato per l'alimentazione dei bambini, degli sportivi e delle persone affaticate, sia fisicamente che mentalmente. Oltre agli zuccheri troviamo anche buone quantità di potassio, di acido ascorbico (vitamina C), di b-carotene e criptoxantina (precursori della vitamina A), questi ultimi responsabili della colorazione arancione.
Il consumo di cachi esercita una leggera azione lassativa e diuretica


Corylus avellana L. 1753

famiglia: Betulaceae
sinonimo : Corylus silvestris
nome comune: nocciòlo, avellano

ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dall'antico termine greco con cui veniva denominata questa pianta, a sua volta originatosi da kòris (elmo), in riferimento all'involucro membranoso che ricopre la testa del frutto. L'attributo specifico deriva dal nome del paese di Avella, cittadina campana ai confini tra Sannio ed Irpinia nota sin dai tempi degli antichi Romani per la fiorente attività di produzione delle nocciole


il nocciolo è generalmente un grande cespuglio spogliante, ma talvolta può presentarsi anche in veste di piccolo alberello, originario dell'area mediterranea e dell'Asia Minore ma ormai diffuso in tutta Europa, dove è presente nelle zone pianeggianti e collinari fino ad un altezza di 1500 metri s.l.m. su terreni calcarei, fertili e profondi, tendenzialmente umidi.
È una pianta colonizzatrice che, avendo esigenze modeste in fatto di terreno e di clima, si adatta a condizioni ambientali molto diverse, potendo vegetare sia come specie pioniera su terreni incolti o pascoli abbandonati, sia come arbusto di sottobosco associato, particolarmente in radure ed aree marginali, ad altre specie arboree, latifoglie od aghifoglie. La sua ampia diffusione in tutte le regioni italiane è favorita sia dall’azione umana sia dall’opera disseminatrice degli uccelli e dei piccoli mammiferi che si nutrono dei suoi frutti.
I semi di questa specie sono dotati di una buona facoltà germinativa e riescono ad originare nuovi individui praticamente in tutte le condizioni, occupando in pochi anni superfici naturali non boscate e favorendo così la comparsa di boschi di nuova formazione, costituiti da specie diverse.
Vi sono però anche numerose varietà di nocciolo selezionate dall'uomo e coltivate sia per la produzione frutticola sia a scopo ornamentale. Specie non molto dissimili, che hanno originato diversi ibridi, sono Corylus colurna (nocciolo turco) e Corylus maxima, caratterizzata dai frutti allungati


la base del nocciolo è caratterizzata da numerosi fusti o polloni che nascono da un ceppo comune, con giovani rami che recano peli corti, in parte ghiandolari. La corteccia ha un colore marrone tendente al grigio ed è precocemente glabra, con solcature longitudinali e sparse lenticelle chiare. Le radici sono superficiali ma ampie e forti, con micorrize, tanto che il nocciolo e' una delle piante predilette dal tartufo bianco (Tuber magnatum) e dal tartufo nero di Norcia (Tuber melanosporum).



le foglie sono alterne, ovato-cordate o tondeggianti, acuminate all’apice ed a margine doppiamente seghettato, con nervature pennate ben evidenti, pubescenti nella pagina inferiore. Hanno un colore verde intenso nella pagina superiore, un po' ruvida e grinzosa, mentre sono più chiare ed opache in quella inferiore. Il picciolo è breve ed anch'esso leggermente tomentoso





il nocciolo è una specie monoica dicline, che porta cioè fiori unisessuali in infiorescenze ben distinte, presenti contemporaneamente su ogni individuo. I fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, presenti in gruppi di 2-4 all’estremità od all’ascella delle foglie dei rami dell’anno precedente, dapprima verdi poi di colore bruno, che si formano in autunno quasi in contemporanea alla caduta delle foglie, cominciando però a spargere il polline solo al comparire delle prime giornate milti della primavera successiva. Le infiorescenze femminili sono invece piccoli amenti eretti, simili ad una gemma, che compaiono in primavera e presentano al loro apice un ciuffetto di stimmi purpurei.
Ogni individuo è autosterile e necessita di essere fecondato dal polline di individui diversi




i frutti sono le notissime nocciole, dette anche noccioline, grossi acheni eduli racchiusi in un pericarpo legnoso di colore dapprima verdastro e poi bruno a maturità, circondati all'esterno quasi interamente da un involucro membranoso-fogliaceo, più o meno dentato od irregolarmente frastagliato. Al loro interno è contenuto un seme dolce ed oleoso, per la produzione e raccolta del quale questa pianta è ampiamente coltivata. L'Italia è il secondo produttore mondiale di noccioline (dopo la Turchia), con impianti intensivi di produzione particolarmente concentrati in Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia.
Tra le varietà più diffuse abbiamo la 'Tonda Gentile delle Langhe', coltivata quasi esclusivamente in Piemonte e perticolarmente apprezzata dall'industria dolciaria, la 'Tonda di Giffoni', originaria del salernitano e coltivata in Lazio e Campania, che si adatta molto bene alla coltivazione in zone diverse da quelle di origine ed è anch'essa assai richiesta dall'industria dolciaria, la 'Tonda Gentile Romana' coltivata in provincia di Viterbo. Tre varietà campane, 'Mortarella' e 'S.Giovanni', a frutto allungato e 'Camponica', a frutto grosso, sono ottime per il consumo da tavola. In Sicilia la varietà più diffusa è la 'Nostrale', molto adatta per la tostatura, che ne esalta l'aroma intenso 

USO ALIMENTARE ED OFFICINALE: le nocciole sono ampiamente utilizzate dall'industria alimentare per la preparazione di creme, torroni ed altri prodotti che spessori riproducono su grande scala ricette e preparazioni tradizionali. In cucina si utilizzano in tantissimi modi, soprattutto per la preparazione di dolciumi, ma anche come accostamento a cibi salati, con ricette tipiche assai variabili da regione a regione.
In erboristeria la corteccia del nocciolo ha proprietà febbrifughe e cicatrizzanti. Gli amenti maschili dimostrano doti dimagranti. Alle foglie sono attribuite proprietà depurative, antidiarroiche, toniche, vasocostrittrici, antiemorragiche e cicatrizzanti. Il gemmoderivato, ottenuto dalla macerazione di gemme fresche, riequilibra il rapporto delle alfa-beta-lipoproteine e diminuisce il colesterolo totale. L'olio di nocciole è usato per le bronchiti e topicamente per le artralgie e per la calvizie

Attenzione !!
Questi non sono consigli medici!! Usate eventuali prodotti con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista