Maclura pomifera (Raf.) Schneid.



famiglia: Moraceae
sinonimi: Maclura aurantiaca   Toxylon pomiferum
nome comune: maclura, moro degli osagi






ETIMOLOGIA: il nome generico fu coniato da T. Nutall, pioniere della botanica americana, in onore di un suo ricco amico, il filantropo, geologo e naturalista William Maclure (1763-1840), nato in Scozia e poi trasferitosi negli Stati Uniti, considerato il 'padre della geologia americana', avendone creato l'intera mappa geologica e che si occupò anche di agricoltura e di botanica. L'attributo specifico latino pomifera (che porta pomi) è riferito alla forma dei frutti di questa pianta, simili a mele o ad arance. La denominazione comune di 'moro degli Osagi' è dovuta all'appartenenza di questa specie alla stessa famiglia del gelso (moro) ed al fatto che gli Osagi, tribù di nativi americani, conoscessero molto bene questa pianta, impiegandone il legno per la fabbricazione di archi






la maclura è un piccolo alberello (alto 7-10 metri, raramente fino a 20) od un grosso arbusto deciduo originario degli Stati Uniti centrali, dal Texas all'Arkansas, dove è denominato 'osage-orange', dal nome della tribù indiana che risiedeva nella sua zona di crescita. Venne introdotta in Europa nel 1818 ed in Italia nel 1827, diffondendosi in modo particolare in Trentino, nella Toscana e nel Lazio. In diverse località la specie si è naturalizzata. Fu originariamente coltivata come fonte di alimento per i bachi da seta, in sostituzione del gelso bianco, a quei tempi gravemente minacciato dalla cocciniglia bianca e da infezioni all'apparato radicale, ma le sue foglie si rivelarono ben poco utili a questo scopo in quanto dotate di scarso potere nutritivo, per cui la sua utilizzazione principale si orientò verso la formazione di siepi impenetrabili, grazie alla presenza di robuste spine all'ascella delle foglie e nei rami. Il suo legno, duro ed elastico, è stato da sempre utilizzato dai nativi americani per la costruzione di archi.
È una pianta che ama le posizioni esposte e soleggiate, ma vive abbastanza bene anche in situazioni di ombra totale. Non teme le basse temperature (resiste fino ai -20°C ma climi troppo rigidi non fruttifica) e sopporta bene i forti venti, anche salmastri. Pur preferendo terreni fertili, sciolti e profondi, si adatta a vivere in qualsiasi tipo di suolo, anche poco dotato di riserve idriche



Il tronco è robusto, irregolare e tormentato, con corteccia bruno–ocracea, profondamente fessurata, che lascia intravedere al di sotto parti aranciate. Il legno interno del tronco, dallo stupendo color ocra screziato, è molto pesante ed estremamente duro: pur essendo molto flessibile, è due volte e mezzo più resistente del legno di quercia. Le ramificazioni sono espanse e la chioma è irregolare. I rametti sono rigidi, glabri, di colore verde-chiaro, forniti di robuste spine ascellari lunghe da 1 a 2,5 centimetri. La corteccia delle radici, ricca di un pigmento giallo chiamato 'morina', ha proprietà tintorie ed anche quella del tronco, ricca di sostanze tanniche, veniva utilizzata per la concia delle pelli



le foglie della maclura sono caduche, alterne, lunghe 5-15 centimetri e larghe 3,5-10, da ovali a lanceolate, dal margine intero, coriacee ed acuminate, profondamente venate, di colore verde scuro e lucide sulla pagina superiore, chiare e leggermente pubescenti in quella inferiore. In autunno, prima della caduta, assumono una colorazione giallo-oro molto bella




la maclura è una specie dioica, con fiori maschili e femminili portati su piante differenti. I fiori maschili sono di color verde giallastro, riuniti in racemi globosi di 2,5-3,5 centimetri sostenuti da peduncoli di 3-6 cm. Hanno 4 tepali e 4 stami. Quelli femminili sono verdi, riuniti in infiorescenze sferiche del diametro di 2-2,5 cm, con un peduncolo breve e vistosi stimmi raggiati. La fioritura avviene in maggio-giugno




nelle piante femminili, se poste in prossimità di quelle maschili, si sviluppa quello che comunemente è considerato il frutto, ma che in realtà è un'infruttescenza propriamente chiamata sincarpo (formata da un insieme di acheni ognuno derivante da un diverso ovario), di forma globosa e consistenza legnosa, dalla superficie profondamente corrugata ed avente un diametro di 7-15 centimetri. Il colore è variabile dal giallo al verde fino all'arancio a maturità. Ogni frutto contiene numerosi semi scuri e ovali, lunghi 1 centimetro circa. Il frutto aperto profuma di limone e rivela una polpa biancastra da cui cola un liquido lattiginoso che dimostra avere un'azione repellente verso gli insetti, in particolare le zanzare. È commestibile per gli animali selvatici e per quelli domestici, ad esempio i cavalli, ma risulta essere, oltre che poco appetibile e gradevole al gusto, tossico per l'uomo, provocando fenomeni di vomito


Nemesia strumosa (Benth.) Benth.




famiglia: Scrophulariaceae
nome comune: nemesia




ETIMOLOGIA: il nome generico deriva dall'antico termine greco usato da Dioscoride per indicare una varietà di 'bocca di leone', in onore di Némesis, dea che comminava gioia o dolore agli esseri umani secondo quanto era giusto. L'attributo specifico latino strumosa (col gozzo) indica la presenza nei fiori delle strume (o scròfole), introflessioni sacciformi dei petali o del tubo corollino simili a piccoli gozzi, tipiche delle scrofulariacee








la nemesia è una pianta erbacea perenne, coltivata come annuale per la sua scarsa resistenza al freddo, originaria del Sudafrica, alta 20-40 centimetri, dal portamento tappezzante, con fusti erbacei eretti e piuttosto ramificati che portano foglie lanceolate e grossolanamente dentate, di colore verde chiaro e leggermente pubescenti. Si coltivano in genere delle varietà ibride, chiamate 'Gruppo Carnival' e 'Sunsatia', con fiori bianchi, azzurri, gialli, arancio, rossi o porpora.
Gradisce posizioni molto soleggiate (nelle regioni del Sud è però preferibile una posizione semi-ombreggiata) e terreni di medio impasto, ricchi di sostanza organica, leggermente acidi. È una pianta delicata, che teme il freddo e gli sbalzi termici e che durante la stagione calda ha bisogno di abbondanti annaffiature, lasciando però che il terreno si asciughi tra un’irrigazione e l’altra ed aggiungendo a cadenza quindicinale del fertilizzante liquido per piante da fiore. Per il suo portamento tappezzante e ricadente si presta egregiamente sia alla coltivazione in vasi, aiuole e bordure sia a quella in panieri appesi.
Per avere fioriture precoci si semina in ambiente protetto in febbraio-marzo o in settembre, ad una temperatura di 15°C, coprendo il seme con un leggerissimo strato di terriccio. Non appena cresciute le piantine si ripicchettano in vasetti e vanno poste definitivamente a dimora non prima di aprile-maggio, quando le temperature non scendono più al di sotto dei 10-15°C. In alternativa si può seminare direttamente a dimora in aprile, diradando poi le piantine ad una distanza di 10-15 centimetri



i fiori, delicatamente profumati e larghi fino a 2,5 centimetri, riuniti in racemi terminali, sono bilabiati, rigonfi alla base, spesso con la gola macchiata e pubescente. La parte superiore della corolla è trilobata, quella inferiore è bilobata, spesso con l'aspetto stropicciato o dentellata. La fioritura avviene in giugno-luglio, ma recidendo alla base i fusti dopo la prima fioritura si ottiene solitamente una seconda fioritura autunnale. I fiori recisi durano a lungo se immersi nell'acqua




Leucojum vernum L. 1753



famiglia: Amaryllidaceae
sinonimi: Leucojum vernum var. biflorum  Erinosma verna
nome comune: campanellino, falso bucaneve




ETIMOLOGIA: il nome generico deriva dall'unione dei termini greci leukós (bianco) e íon (viola, violetta), per i fiori bianchi, talvolta profumati di violetta. L'attributo specifico latino vernum  sta ad indicare il periodo di fioritura primaverile della pianta







il campanellino è una pianta erbacea perenne, bulbosa, rustica e resistente, alta fino a 40 centimetri, originaria dell'Europa meridionale, dai Pirenei fino alla Romania ed alla Russia sud-occidentale, ma naturalizzata ad opera dell'uomo in gran parte delle zone temperate dell'emisfero boreale. In Italia cresce allo stato spontaneo prevalentemente nelle regioni del Nord, ma la si può trovare sporadicamente anche nell'Appennino settentrionale, sulle Alpi Apuane e nelle Marche. Presenta una distribuzione discontinua, a macchia di leopardo (anche se alcune colonie sono molto ricche) e soprattutto con areali in continua contrazione, specialmente nelle aree pianeggianti, dove i siti di crescita sono sotto la continua minaccia legata all'antropizzazione del territorio. Si può facilmente confonderlo col bucaneve (Galanthus nivalis) ma è più alto e robusto, con una fioritura leggermente ritardata e più duratura.
È specie debolmente sciafila, che predilige vivere in luoghi umidi e semi-ombreggiati come i boschi radi di latifoglie, ma possiamo rinvenirla anche in prati umidi o sulle rive di fossi e canali, fino ad un'altitudine di 1500 metri. Il terreno preferito è quello pesante, umido e ricco di sostanza organica.
Le piante di questa specie sono coltivate nei giardini europei da tempo remoto (secondo alcuni scritti già dal XVI° secolo), con l'impiego principale nella formazione di giardini rocciosi, nei muri fioriti, in bordure o macchie sotto alberi ed arbusti. Generalmente la moltiplicazione avviene in autunno, mediante la separazione dei bulbilli e la loro immediata piantagione. I bulbi vanno posti ad una profondità di circa 10 centimetri, distanti altrettanto tra loro



il bulbo ha forma sub-sferica (12-30 millimetri di diametro) ed è avvolto da tuniche di colore biancastro: da esso si sviluppano foglie basali ed amplessicauli, glabre, piatte e nastriformi, dall'apice arrotondato, carnose e lunghe poco meno del fusto e del fiore (la lunghezza è di 10 centimetri e la larghezza da 5 a 12 millimetri). La lamina fogliare, di colore verde scuro e lucida sulla pagina superiore, presenta evidenti nervature disposte parallelamente al suo asse longitudinale




i fiori sono singoli, lunghi e larghi circa 2 centimetri, penduli, campanulati e delicatamente profumati, portati su scapi verdi con la sommità spatiforme ed ingrossata. Come in tutte le bulbose, non hanno un calice ed una corolla distinti tra loro (perianzio composto di sepali e petali) ma un perigonio formato da 6 tepali petaloidei non saldati tra loro, dall'apice ristretto ed arrotondato, disposti in due serie concentriche (3 interni e 3 esterni) a formare una campanella di colore bianco puro con una macchia di colore giallo-verdastro all'apice di ciascun elemento. L'androceo è formato da 6 stami bianchi con antere gialle, più lunghe del filamento, alla cui sommità sono inserite lungo un asse longitudinale. Il gineceo è un pistillo con stilo bianco ingrossato ed a forma di clava, alla cui sommità è inserito uno stigma verdastro. La fioritura è da febbraio ad aprile, secondo l'altitudine e l'esposizione al sole del terreno. Un elemento importante per la precoce fioritura della pianta è la fine dell'innevamento nelle varie aree montane. In genere fioriscono un paio di settimane dopo i bucaneve. Al termine della fioritura si forma un frutto a forma di capsula che ricorda una pera in miniatura


ATTENZIONE: come tutte le amarillidacee, questa pianta è velenosa per ingestione, in quanto contiene nelle radici e nelle foglie, ma soprattutto nei bulbi, alcaloidi tossici come galantamina e lycorina, che possono provocare vomito, capogiri, brividi, ma anche avvelenamenti piuttosto gravi. È da evitare quindi l'uso domestico sia in cucina che come farmacia popolare




Kalanchoe blossfeldiana Poelln. 1934




famiglia: Crassulaceae
sinonimi: Kalanchoe globulifera var. coccinea
nome comune: calancola




ETIMOLOGIA: il nome generico è derivato dal termine cinese calankoé, con cui sono denominate alcune piante di questo genere. L'attributo specifico ricorda il botanico tedesco Robert Blossfeld, ibridatore di piante che per primo introdusse questa specie in Europa nel 1932 e la mise in coltura








la calancola è una pianta perenne succulenta, alta fino a 30 centimetri, originaria ed endemica del Madagascar, a portamento cespitoso ed eretto, molto diffusa come pianta d'appartamento grazie alle sue splendide fioriture e alla facilità di coltivazione. Le piante si coltivano in un terriccio molto ben drenato, ricco di sabbia e ghiaia, possono essere esposte tranquillamente in pieno sole e non necessitano di irrigazioni frequenti. Durante il periodo estivo si consiglia di portarle all’aperto e di aumentare le annaffiature per favorire la vegetazione. Nel periodo invernale le irrigazioni si diradano, giusto a mantenere il terriccio leggermente umido, mentre è importante che la temperatura non scenda al disotto dei 5-7°C.
Esistono in commercio innumerevoli ibridi derivati da questa specie, dalle caratteristiche molto varie, che possono crescere anche più della specie tipo e che producono fiori di svariate sfumature e colori diversi



le foglie sono carnose e succulente, ellittiche o quasi di forma triangolare, opposte ma quasi appressate tra loro, lucide, glabre e di consistenza cerosa, di colore verde scuro, con margini rossastri leggermente dentati




 i piccoli fiori (fino a 1,5 centimetri) hanno una corolla tubuliforme che apicalmente si apre in 4 petali e sono riuniti in cime corimbose portati da dei lunghi scapi fiorali eretti privi di foglie. La specie tipo ha fiori rossi, ma le diverse varietà portano fiori arancio, rosa, violetto, giallo, bianco, anche con corolla doppia. La fioritura avviene soprattutto da febbraio a maggio, ma appaiono fiori anche negli altri periodi dell'anno


ATTENZIONE: come avviene per le altre piante appartenenti a questo genere, tutte le parti di questa pianta sono tossiche per ingestione, in quanto contengono alcune sostanze che possono produrre irritazione gastrointestinale ed altre, glucosidi cardioattivi, che sono nocive per il cuore, potendo causare gravi alterazioni alla frequenza ed al ritmo cardiaco. In presenza di bambini piccoli ed animali domestici è quindi opportuno riporre le piante al di fuori della loro portata




Juglans regia L. 1753




famiglia: Juglandaceae
sinonimi: Juglans sinensis
nome comune: noce, noce comune, noce da frutto




ETIMOLOGIA: il nome generico proviene dal termine, pervenutoci da Cicerone, con cui gli antichi latini denominavano il noce, a sua volta derivante dalla contrazione di Jovis glans (ghianda di Giove). L'attributo specifico proviene dall'aggettivo latino regius -a -um (reale), per la prelibatezza dei frutti e la loro superiorità rispetto a quelli di altre specie







il noce è un grande albero deciduo, vigoroso, alto fino a 30 metri, dal portamento maestoso, originario dell'Asia centro-orientale ma oramai pianta cosmopolita, presente negli ambienti temperati di tutto il mondo, anche nell'emisfero australe. Coltivato già nell'età della pietra (dal 9000 a.C. circa) in Italia è stato introdotto dagli antichi greci intorno al IV° secolo a.C. per i suoi frutti eduli, diffondendosi poi in tutta Europa con l'espandersi dell'Impero Romano, in quanto era considerato albero di grande valore, sia dal punto di vista economico-alimentare sia da quello religioso. È diffuso in tutto il territorio nazionale dal Nord al Sud, dal piano fino alla bassa montagna, ampiamente coltivato (soprattutto in Campania), ma lo si può anche trovare senza troppe difficoltà allo stato spontaneo o inselvatichito. Predilige posizioni soleggiate e suoli fertili e freschi, temendo sia il ristagno idrico sia un'eccessiva aridità del suolo, mentre resiste anche ad un elevato tenore in calcare. È pianta tipicamente mesofila, che mal tollera sia il gelo eccessivo sia il troppo caldo. Le zone più adatte al noce sono quelle di media collina, esposte a sud o a ovest, protette dai venti. Cresce lentamente e può vivere sino a 200 anni.
Per il suo portamento maestoso è utilizzato come pianta ornamentale nei parchi e nei giardini di grandi dimensioni, ma viene anche coltivato per il suo legno pregiatissimo e per la produzione di noci, impiegate per il consumo fresco e nell'industria dolciaria. Dal gheriglio viene estratto un olio commestibile e di ottima qualità, però poco conservabile perchè tende facilmente ad irrancidire. Col mallo dei frutti immaturi si prepara il nocino, un liquore molto diffuso. Le gemme e le foglie vengono utilizzate per le loro proprietà medicinali e tintorie.
Le radici del noce producono una sostanza, chiamata juglone, tossica per le altre piante, che quindi non riescono a svilupparsi e crescere troppo vicino agli alberi di questa specie



il tronco è molto robusto, eretto e diritto e può raggiungere fino a 150-200 centimetri di diametro, con corteccia grigiastra e liscia nella fase giovanile, che poi si screpola con l'età, diventando più scura e fessurata longitudinalmente. Il tronco principale si ramifica in grossi ma corti rami di colore bruno rossiccio, glabri, formanti una chioma ampia e arrotondata. Sui rami più giovani possiamo notare ampie cicatrici fogliari, lasciate dalla caduta delle foglie dell'anno precedente. Le gemme sono larghe e schiacciate, di un colore che va dal bruno-viola al nero.
Il legno del noce, molto pregiato ed elegantemente solcato da venature, con l'alburno chiaro e la parte interna color bruno-cioccolato, si presenta compatto e pesante ma nel contempo facile da lavorare: per questo motivo è molto apprezzato da ebanisti, scultori e falegnami, per la produzione di mobili, arredamenti, intarsi, torniture e impiallacciature. Il legno, tra l’altro, ha il pregio di non deformarsi con il passare del tempo, e questo lo rende ideale per la produzione di attrezzi tra i più disparati, come per esempio i calci da fucile e le stecche da biliardo





le foglie sono caduche, alterne, composte, imparipennate, dotate di un picciolo dilatato alla base, composte da 5-9 foglioline ellittiche a margine intero e lunghe 20-25 centimetri, quella terminale solitamente più grande delle altre. Sono di colore verde scuro superiormente, più chiare sotto, leggermente vellutate per la presenza di ciuffi di peli all'inserzione delle nervature secondarie sulla nervatura principale. Se schiacciate emanano un profumo debolmente aromatico





il noce è una pianta monoica, cioè con fiori dai sessi distinti ma presenti contemporaneamente sulla stessa pianta. Si sviluppano in primavera, prima della comparsa delle foglie, in infiorescenze separate. I fiori femminili, sessili e generalmente disposti a coppie, ma talvolta raccolti in gruppi comprendenti fino a 5 fiori verdi, si trovano alle estremità dei rametti nuovi. Quelli maschili, provvisti di tre petali e numerosi stami, sono riuniti in vistosi amenti penduli, cilindrici, di 5-10 centimetri, di colore bruno-verdastro, che si trovano in posizione ascellare sui rametti dell'anno precedente e che presto anneriscono e cadono. L'impollinazione avviene per mezzo del vento








i frutti sono drupe con seme commestibile, costituiti da una buccia sottilissima (epicarpo), glabra e punteggiata di ghiandole e dal mallo (mesocarpo) carnoso, verde e dall'odore caratteristico, che a maturazione del frutto diventa nero e si stacca. Al di sotto del mallo c'è la noce vera e propria, con guscio legnoso (endocarpo), diviso in due valve contenente il seme (gheriglio), suddiviso a sua volta in quattro spicchi irregolari e rugosi. Il seme è edule e di ottimo sapore, tanto più delicato quanto più fresco, essendo ricco di olio di ottima qualità, che però col tempo tende ad irrancidire



USO ALIMENTARE ED OFFICINALE: il gheriglio del noce è un alimento molto aromatico e gustoso, amaro, acido ed astringente, molto calorico (100 grammi forniscono circa 600 Kcal). Per la metà del suo peso è costituito da lipidi e per il 12% da proteine. L'80% dell'olio di noce è costituito da grassi polinsaturi ed è per questo motivo che manifesta notevoli proprietà anti-arteriosclerotiche. Contiene anche vitamina A e vitamina E.
Le foglie e le radici del noce sono ricche di juglone, una sostanza ad azione antimicotica, che le rende adatte nella cura delle infezioni fungine, impiegate come impacchi o decotti in trattamenti locali. Per via interna esercitano azione stomachica, ipoglicemizzante ed anti-diabetica, astringente, depurativa, anti-linfatica, ricostituente, vermifuga, antiemorroidea, antibiotica ed anti-acneica. Sono quindi utili per chi soffre di turbe digestive, iperglicemia, diarree, coliti ulcerose, leucorrea, intossicazioni, linfatismo, eczemi.
Anche la corteccia dei giovani rami è utile come decotto in quanto astringente e vermifuga. Il mallo è molto ricco di tannino e di vitamina C, tanto che se ne può usare il succo fresco come astringente ed anti-linfatico o sulla pelle come cicatrizzante, protettivo, anti-ustione solare o come abbronzante (olio di mallo).
Le gemme del noce si usano in gemmoterapia in forma di macerato glicerico, per la marcata attività depurativa ed eudermica, dove sono indicate perla cura di acne, dermopatie pustolose, ulcerazioni, micosi, iperidrosi, tracheobronchiti, otiti, salpingiti, cistopieliti, meteorismo, diarrea conseguente a trattamenti antibiotici, pancreatite cronica ed insufficienza pancreatica.
In floriterapia, è il Fiore di Bach denominato Walnut, considerato un rimedio per la difficoltà di adattamento alle situazioni nuove

Attenzione !!
Questi non sono consigli medici!! Usate eventuali prodotti con cautela e solo secondo le prescrizioni del medico o dell’erborista


Isotoma fluviatilis (R.Br.) F.Muell.




famiglia: Campanulaceae
nome comune: isotoma




ETIMOLOGIA: il nome generico è dato dall'unione dei due termini greci ísos (uguale) e tomé (taglio), per il taglio molto netto che suddivide in modo uguale i 5 lobi della corolla. L'attributo specifico latino fluviatilis (dei fiumi) è riferito all'habitat preferito da questa pianta






l'isotoma è una pianta erbacea perenne a portamento strisciante, originaria dell'Australia e della Nuova Zelanda, che raggiunge un'altezza massima di 2-3 centimetri e che si allarga fino ad un metro. È una pianta apparentemente delicata, ma invece è robusta, facile da crescere ed estremamente versatile: per le sue caratteristiche può trovare impiego come tappezzante (6-7 piante a metro quadro), nei primi piani delle bordure erbacee, per riempire le fessure tra i lastricati e come pianta sostitutiva dell'erba in piccole zone di prato (resiste abbastanza bene al calpestìo), nel giardino roccioso ed in quello alpino, in vasi e fioriere. Sopporta bene le basse temperature (è rustica fino a -10°C) e vive meglio in posizioni semi-ombreggiate (pur tollerando il pieno sole, specialmente nei climi meno caldi). Preferisce terreni umidi ma ben drenati, ma si adatta egregiamente (una volta stabilizzatasi) anche ai terreni asciutti. I rami striscianti presentano una gran massa di foglie persistenti, piccole (circa un centimetro di larghezza), ovaleggianti e leggermente dentate, dalla quale si ergono fiorellini stellati di colore azzurro-violetto, che sbocciano in continuazione da maggio fino all'arrivo dei primi geli







ATTENZIONE: tutte le parti della pianta sono tossiche per ingestione